Reato di truffa – art. 22 del Trattato fra la Santa Sede e l’Italia – nozione di rifugiato –

La Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano ha ritenuto che non vi è violazione di legge per omessa o mancata motivazione allorquando il giudice di merito, tenendo conto degli elementi di prova considerati di decisivo rilievo, li sviluppi con un iter logico e fondi su di essi il giudizio di responsabilità. Gli eminentissimi cardinali hanno poi affermato che non sussiste violazione della legge per omessa o mancata motivazione nel momento in cui il giudice, senza indugiare in tutte le singole particolareggiate argomentazioni difensive svolte, indica le fondamentali ragioni sulle quali poggia il suo convincimento, chiarendo i dati di fatto valorizzati, le prove e il ragionamento seguito: la forza di questi, infatti, implicitamente e necessariamente ha permesso al giudice di disattendere tutte le argomentazioni incompatibili con la soluzione adottata.
Nel caso di specie, i giudici, hanno anche analizzato quanto previsto dal Trattato Lateranense in merito alla punizione del rifugiato in territtorio italiano. L’art. 22, comma primo seconda parte, del Trattato Lateranense, ha ritenuto la Corte, non implica la sua applicazione da parte dello Stato della Città del Vaticano per tutti i casi in cui il reo di delitto commesso nello Stato della Città del Vaticano si trovi di fatto in territorio italiano, bensì solo nel caso in cui il reo di cui sopra si rifugi nel medesimo territorio italiano. La scelta della denominazione rifugiato non può essere posta nel nulla, mutandola nella semplice condizione di «trovarsi in territorio italiano»: verba aliquid operare debent, hanno sostenuto i giudici. La semplice contumacia dell’imputato nel processo penale non può, in assenza di fatti specifici qualificanti, essere rappresentata da sé come un “rifugiarsi” dell’imputato in territorio italiano.