Molestie sessuali – Corruzione di minorenni – Favoreggiamento
Il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano è stato chiamato a giudicare i comportamenti di un seminarista del Preseminario San Pio X e di uno dei superiori di questa struttura. La vittima ha lamentato di aver subito molestie sessuali da parte di un confratello che lo avrebbe obbligato a praticare atti sessuali contro la sua volontà negli anni in cui frequentava la struttura formativa. Il superiore del Preseminario San Pio X è stato chiamato a rispondere del reato di favoreggiamento perchè avrebbe falsificato una lettera che ha annunciato l’ordinazione sacerdotale del candidato e perchè ha taciuto il vero in merito ad alcune richieste che il Promotore di Giustizia gli ha fatto in sede di indagine.
I reati contestati:
“Chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale è stabilita una pena non inferiore alla detenzione, senza concerto anteriore al delitto stesso, e senza contribuire a portarlo a conseguenze ulteriori, aiuta taluno ad assicurarne il profitto, a eludere le investigazioni dell’autorità, ovvero a sottrarsi alle ricerche della medesima o alla esecuzione della condanna, e chiunque sopprime o in qualsiasi modo disperde Walter alle tracce o gli indizi di un delitto che importi la pena suddetta, è punito con la reclusione o con la detenzione sino a cinque anni, ma non superiore in durata alla metà della pena stabilita per il delitto medesimo.
Qualora si tratti di altri reati, la pena e dalla multa sino a lire mille.
Va esente da pena chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.”
L’imputato, ai tempi seminarista, era chiamato a rispondere dei reati puniti e previsti dagli artt. 331,332 e 333 del Codice Penale Vaticano. Ovvero
Art 331 – Chiunque con violenza o minaccia, costringere una persona dell’uno o dell’altro sesso a congiunzione carnale è punito con la reclusione da tre a 10 anni. Alla stessa pena soggiace chi si congiunge carnalmente con persona dell’uno o dell’altro sesso, la quale al momento del fatto:
1. non abbia compiuto gli anni 12;
2. non abbia compiuto gli anni quindici, se il colpevole ne sia l’ascendente, il tutore o l’istitutore;
3. essendo arrestata, o condannata, sia affidata al colpevole per ragione di trasporto o di custodia;
4. non sia in grado di resistere, per malattia di mente o di corpo o per altra causa indipendente dal fatto del colpevole, ovvero per effetto di mezzi fraudolenti da esso adoperati.
Art. 332 – Quando alcuno dei fatti preveduti nella prima parte e nei numeri 1° e 4° del capoverso dell’articolo precedente sia commesso con abuso di autorità, di fiducia o di relazioni domestiche, il colpevole è punito, nel caso preveduto nella prima parte, con la reclusione da sei a dodici anni; e, negli altri casi, con la reclusione da otto a quindici anni.
Art. 333 – Chiunque, usando dei mezzi o profittando delle condizioni o delle circostanze indicate nell’articolo 331, commette su persona dell’uno o dell’altro sesso atti di libidine, che non siano diretti al delitto preveduto in detto articolo, è punito con la reclusione da uno a sette anni.
Se il fatto sia commesso con abuso di autorità o di fiducia o di relazioni domestiche, la reclusione, in caso di violenza o minaccia, è da due a dieci anni; e, nei casi preveduti nei numeri 1° e 4° del capoverso dell’articolo 331, è da quattro a dodici anni.
Nel presente procedimento è intervenuto anche il Sommo Pontefice che con il Rescriptum ex audientia del 29 luglio 2019 ha permesso l’avvio delle indagini da parte del Promotore di Giustizia.
La corte ha ritenuto potersi configurare, a carico dell’imputato, il reato di corruzione di minorenne punito dall’art. 335 del Codice Penale Vaticano, il quale prevede:
Art. 335 – Chiunque, mediante atti di libidine, corrompe una persona minore dei sedici anni, è punito con la reclusione sino a trenta mesi e con la multa da lire cinquanta a millecinquecento.
Se il delitto sia commesso con inganno, ovvero se il colpevole sia un ascendente della persona minore o se a lui sia affidata la cura, l’educazione, l’istruzione, la vigilanza o la custodia, anche temporanea, di essa, la pena è della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire cento a tremila.
perchè tale reato “non richiede l’elemento della violenza e minaccia”. Per tale reato però erano decorsi i termini di prescrizione.
In merito alla qualità di tutore che inizialmente era stata ipotizzata a carico dell’imputato, il tribunale ha ritenuto che non “si può ritenere detto reato integrato dalla qualità di tutore […] È infatti di tutta evidenza che il codice (all’art. 331, comma 2 nr. 2, richiamato dall’art. 333) usa la parola “tutore” nel senso tecnico indicato dal codice civile […].“
Desta particolare stupore il ragionamento che ha portato il Tribunale a ritenere quando vi possa essere”violenza o minaccia” nel comportamento di un soggetto. In particolare, sorprende l’atteggiamento del Collegio nei confronti del denunciante. Dalla lettura di questa sentenza, tralasciando il caso di specie, si ha l’amara sensazione di essere tornati a concetti vetusti che portano a credere che chi denuncia, in realtà, ha provato un certo piacere nell’essere molestato sessualmente. Il Tribunale, composto totalmente da laici, non ha saputo comprendere le dinamiche psicologiche che possono scatenarsi all’interno di una struttura seminariale e non ha compreso come alcune questioni, forse banali all’esterno, all’interno acquistano particolare valore. Infine, la Corte ritiene, addirittura, che la vittima avesse tutte le facoltà per reagire diversamente, e addirittura ritiene che si sarebbe dovuta comportare come un’altro confratello, anch’esso bersaglio dell’imputato. Senza comprendere, in questo modo, che ogni essere umano ha un proprio vissuto e un proprio temperamento.