Vatican and canon law

Pro Iure patrio stamus

Vaticano: stupefacenti e principio di legalità

sentenza del 05 maggio 2007. Disposizioni penali in materia di stupefacenti – Principio di legalità

La sentenza prende in seria considerazione ed analizza il principio nullum crimen sine legem

I fatti

La vicenda trae origine da un rapporto del 21 dicembre 2003 con il quale la gendarmeria vaticana informava il giudice unico che in data 14 dicembre 2003 i carabinieri della repubblica italiana del reparto territoriale di Ostia avevano tratto in arresto R. XXXXX, per la cessione di grammi 1 di cocaina all’interno del giardino della propria abitazione in Cerveteri. Durante la perquisizione domiciliare erano stati rinvenuti: 11 dosi di cocaina per un totale di grammi 10 di sostanza stupefacente, 4 involucri contenenti grammi 150 di cocaina allo stato solido, grammi 7 di hashish, un bilancino di precisione ed una somma di denaro pari a euro 115, quale provento dell’attività di spaccio. 

Processato nella Repubblica Italiana il 15 dicembre 2003 con rito direttissimo, il Tribunale di Civitavecchia, in composizione monocratica, aveva condannato XXX alla pena patteggiata di anni uno e mesi quattro di reclusione, pena sospesa e non menzione, per illecita cessione ed illecita detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di successiva cessione.

Informata dei fatti, e previa autorizzazione del giudice unico, la gendarmeria procedeva il 15 dicembre 2003 alla perquisizione dell’ufficio e dell’armadietto in uso al R. XXXXX, dove rinveniva un involucro contenente sostanza bianca che veniva sequestrata e consegnata alla direzione dei servizi di sanità ed igiene per le dovute analisi. Queste venivano effettuate dal professor Piero Fucci, specialista in medicina legale presso il laboratorio di medicina legale dell’università di Roma Tor Vergata, e constatavano trattarsi di un «miscuglio contenente cocaina cloridrato del peso complessivo di grammi 79,426 da cui si possono ricavare 344 singole dosi medie per assunzione intranasale».

Sottoposto ad interrogatorio da parte della gendarmeria vaticana, il 19 dicembre 2003, XXXX ammetteva di essere un consumatore abituale e quotidiano di cocaina e di non averne mai praticato lo spaccio salvo in casi di consumo comune; riconosceva di aver detenuto una ingente quantità di cocaina sul posto di lavoro sostenendo che gli serviva esclusivamente ad uso personale e che l’acquisto di grosse quantità della sostanza si giustificava con il fatto di riuscire cosi ad ottenere un prezzo più favorevole; respingeva categoricamente ogni addebito di spaccio all’interno del Vaticano; forniva indicazioni vaghe sui fornitori di droga operanti nel mercato romano.

Su disposizione del giudice unico, in assenza di flagranza di reato, XXXXX veniva poi rilasciato previo versamento di cauzione e previa notifica del provvedimento, adottato dalla segreteria generale del governatorato dello Stato della Città del Vaticano, di sospensione cautelare dal servizio e di divieto di accesso nello Stato. 

Il principio di legalità 

Nonostante l’ordinamento giuridico vaticano non prevedeva disposizioni penali in materia di sostanze stupefacenti, Il presidente Dalla Torre, con un’ottima argomentazione ha ribadito che può trovare applicazione la norma penale complementare prevista dall’art. 23 della legge sulle fonti del diritto del Sommo Pontefice PIO XI, la quale qualificava “come contravvenzione quei fatti non altrimenti puniti che offendano i principi della religione o della morale, l’ordine pubblico o la sicurezza delle persone o delle cose”. Tale norma ora la si rinviene, oggi, nell’art. 9 della nuova legge ancora vigente all’interno dello Stato, promulgata dal Sommo Pontefice Benedetto XVI nell’anno 2008. 

Inoltre, Dalla Torre spiega perfettamente che bisogna fare attenzione, pur non essendo questo il caso, che la norma non violi il principio di legalità vigente nell’ordinamento giuridico vaticano. Il presidente del tribunale vaticano, di felice memoria, tiene a precisare che la disposizione prevista dalla legge fondamentale è altresì conforme con le norme previste in subiecta materia dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. 

Con ampia motivazione sostiene che la normativa non urta con gli elementi essenziali che vengono ad integrare il principio di legalità, articolato in quattro sottoprincipi: la riserva di legge, la tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale, l’irretroattività della legge penale e, infine, il divieto di analogia. 

In merito al principio di tassatività della fattispecie penale (diretta a salvaguardare – come è noto – il giustiziabile contro eventuali abusi del potere giudiziario), la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza 22 novembre 1995, pres. Ryssdal, C.R. c. Regno Unito, ha riconosciuto che l’interpretazione da parte del giudice costituisce un elemento portante del sistema penale e che, quindi, il principio di legalità non esclude l’interpretazione giudiziale, soprattutto quando essa sia compatibile con l’essenza del reato e «possa ragionevolmente essere prevista». 

Alla luce di questi principi, il tribunale vaticano ha ritenuto che nella norma citata il potere di determinazione riconosciuto al giudice non contrasta con il principio di legalità, in quanto non è né discrezionale né arbitrario, bensì legato a parametri oggettivi, quali sono, appunto, i principi della religione, i principi della morale, l’ordine pubblico, la sicurezza delle persone o delle cose.

Bisogna anche sottolineare, come accennato sopra, che nell’ordinamento dello Stato della Città del Vaticano, è previsto l’intervento suppletivo del giudice in caso di lacuna normativa. L’art. 9 della nuova legge sulle fonti come già l’art. 23 della vecchia legge, stabilisce che “Qualora manchi qualunque disposizione penale e tuttavia sia commesso un fatto che offenda i principi della religione o della morale, l’ordine pubblico o la sicurezza delle persone o delle cose, il giudice può richiamarsi ai principi generali della legislazione per comminare pene pecuniarie sino ad Euro tremila, ovvero pene detentive sino a sei mesi, applicando, se del caso, le sanzioni alternative di cui alla legge 14 dicembre 1994, n. CCXXVII.” 

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